Oratorio della Morte
Le Guide
L'oratorio, oggi non più esistente, sorgeva nell’area di Via San Donato al civico numero 6.
La prima Confraternita della Morte nacque a Roma nel 1538 con lo scopo di seppellire i morti di povera condizione. A Genova, i confratelli, iniziarono la loro opera nei primi anni del XVII secolo; inizialmente tennero sede presso varie chiese fino a quando non si cominciò, nel 1637, a costruire l’oratorio in questione.
L’Anonimo Genovese fornisce una scarna descrizione degli interni: «è tutto eccellentemente a fresco da Gio’ Andrea Carlone dipinto e sfarzosamente indorato. Ha nella volta principale la Resurrezione de’ morti, le Opere di misericordia a fianco, la Trinità nella cupola, e i quattro Profeti ne’ peducci. Ha due altari laterali, e in quello a destra è un quadro di Castellino Castello con la Deposizione di Cristo dalla Croce».
All’epoca, si trovava accanto alla Chiesa di San Donato ed era gestito dai Confratelli della morte, così lo descrive Federico Alizeri «questa Consorzia sortita al pietoso ministerio di seppellire i poverelli defunti, germogliata, […] dalla prima che allignò in Roma per favore di papa Pio IV, […] intorno al 1610 fermò i suoi statuti, e si alzò una chiesuola».
Nel 1680 iniziarono i lavori di decoro, affidati per lire 6300, a Gio. Andrea Carlone «pittore facile e pronto: ma di quei molti che volentieri trascurano l’opera quand’ella s’affretta al suo termine. Piace perciò dov’egli esordì nel lavoro, dico nell’abside e nella cupola, più che nel vòlto ove tinse il risorgere dei morti, o nei muri di fianco che variò con profeti di chiaroscuro fra intercolonj e cornici dipinte e vagamente lumeggiate ad oro da Orazio Assereto e da Sebastiano Mongi».
Bibliografia Guide
- Alizeri Federico, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Bologna, Forni Editore, 1972 pag. 45-46
- Poleggi Ennio e Poleggi Fiorella (Presentazione, ricerca iconografica e note a cura di), Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818, Genova, Sagep, 1969 pag. 239-240